Nei giorni scorsi è uscito il rapporto di AESVI sul settore dei videogiochi in Italia nel 2017, una sorta di “fotografia” della situazione per quel che riguarda videogame e consumatori nel nostro paese, e che trovate nella sua interezza sul sito ufficiale di AESVI (qui la versione in PDF, poco meno di 1MB).
È un rapporto bello, positivo, che fa bene leggere, anche per uscire dalla “bolla” in cui troppo spesso ci chiudiamo
Mi piace dedicargli un po’ di spazio perché
è un rapporto bello, positivo, pieno di buone notizie per il settore, e ogni tanto fa bene dirsi anche queste cose, e non solo passare il tempo a lamentarsi o fare polemichette sui social (tentazioni in cui siamo spesso caduti anche noi, eh). Mi piace parlarne perché ci permette – e ogni tanto ne abbiamo bisogno, noi appassionati duri e puri – di osservare un quadro un po’ più da lontano,
di avere una visione d’insieme di un’industria e di un mercato che vive, prospera ed è felice anche al di fuori della “bolla” in cui spesso viviamo e dalla quale non riusciamo a guardar fuori.

FIFA e Call of Duty continuano a essere i best seller di sempre
In breve, brevissimo, scopriamo che
il giro d’affari legato ai videogiochi in Italia si muove nell’ordine del miliardo e mezzo di euro, con crescite un po’ ovunque, dal mercato console a quello degli accessori. Nel rapporto ci sono tante conferme, per esempio che
FIFA è sempre un best seller, che pure
Call of Duty se la cava benone, che su mercato mobile dominano i vari
Clash Royale e
Candy Crush, che su console vanno per la maggiore action, shooter e titoli sportivi, mentre il mondo PC predilige shooter, strategici e giochi di ruolo. Mi è piaciuta molto la parte del rapporto che raccoglie le cinque parole maggiormente associate ai videogiochi:
Divertimento, Interazione, Competizione, Intrattenimento e Immersività. Un plauso ad
AESVI per aver avuto l’intuizione di inserire questa parte nella sua indagine. Credo che nell’esperienza di tutti quanti, qui dentro, ci sia spazio per almeno tre o quattro di queste parole, e che non sia possibile concepire il videogioco senza di esse.

Più interessante (ma con almeno un grosso caveat, come spiego più avanti) la parte del rapporto dedicata al profilo dei giocatori: stando ai dati raccolti da AESVI, in Italia si videogioca un sacco: il 57% della popolazione tra i 16 e i 64 anni, con quasi il 60% di maschi e poco più del 40% di femmine.
Videogioca più o meno la metà della popolazione italiana, e quasi tutta lo fa ogni settimana, per diverse ore
Ancora, quasi tutti i videogiocatori si dedicano al proprio hobby con una discreta costanza: tutte le settimane, per svariate ore, e su diverse piattaforme (del resto, il solo smartphone ne rappresenta una), segno che
i videogiocatori di oggi sono molto meno “monogami” che in passato, non si accontentano e cercano di prendere il meglio da qualunque parte arrivi. La principale perplessità di questo rapporto sta nel definire “chi” è un videogiocatore, dubbio che
ha attanagliato anche me qualche mesetto addietro; stando a quanto specificato in merito alle metodologie del sondaggio, “
la definizione di videogiocatore […] comprende chiunque abbia giocato con videogiochi su qualsiasi dispositivo e/o formato negli ultimi 12 mesi“. Nel mio editoriale sostengo una posizione decisamente inclusiva, che abbraccia tanto gli appassionati di
Dark Souls quanto quelli di
Candy Crush, ma un anno di tempo mi pare un intervallo abbastanza ampio. Buono a sapersi, però, se non altro per interpretare correttamente i dati del rapporto. Per dirne una, il cognato dell’editoriale cui sopra un paio di partite a
FIFA coi figli le ha fatte, ma tutto potrei dire di lui tranne che sia un videogiocatore.

Andando avanti, in realtà, si scopre che ben il 45% del campione ha risposto di giocare tutte le settimane, lasciando agli occasionali (occasionalissimi, come mio cognato) un risicato 4%. La percentuale di “assidui” è in linea con la dimostrazione di interesse per il mondo dei videogiochi nel suo complesso, che si attesta intorno al 44%, segno che le due cose vanno di pari passo. Tante le famiglie che videogiocano, genitori e figli insieme, sia per passare del tempo divertendosi che, da parte dei genitori, per esercitare una legittima funzione di controllo. Ed è ancor più bello scoprire che, in un terzo dei casi, siano i figli (piccoli, immagino) a chiedere ai propri genitori di giocare con loro. In questa casistica ci vedo perfettamente mio cognato impegnato suo malgrado a sfidare il Brasile con l’Atalanta: non sarà un gamer, non gli interessa e non lo sarà mai, ma ha dedicato del tempo ai suoi figli, in un’attività che a loro piace, e quindi alla fine ha comunque vinto lui (non la partita contro il Brasile, però).